Sognava di fare la giornalista, ma il suo fascino non la fece passare inosservata. Fu la prima reginetta di bellezza del dopoguerra A.V., ed un’acclamata star di fotoromanzi.
Affiancò Totò sul set, ammaliò un Antonioni agli esordi che la volle come protagonista di un sul film, e conquistò Fellini che le propose una parte, da lei rifiutata, in una sua pellicola. La giovane italo-americana, infatti, non amava stare sotto i riflettori e veniva presa dal panico quando doveva girare una scena. Delusa dall’ambiente dello spettacolo, lasciò tutto intorno alla metà degli anni ’50 e fece perdere le sue tracce.
A Roma decise di seguire le orme artistiche del padre. La sua era infatti una famiglia di scultori, e A.V. seppe continuare la tradizione con grandi apprezzamenti da parte di critica e pubblico. Una volta spente le luci dei riflettori, la giovane si dedicò alla scultura e alla pittura, tenendo mostre internazionali ed aprendo tre studi, due a Roma e uno a New York.
E, alla sua passione, vi si dedicò fino agli ultimi giorni nella piccola casetta di campagna dove viveva con il marito. Morì all’età di 83 anni, lasciando in quel piccolo studio tutte le sue creature ancora imprigionate nell’argilla. Aveva ancora molti progetti, che però non fece in tempo a realizzare.
Tra gli scaffali dell’atelier c’è tutta la sua vita. Soggetti sacri, nudi mitologici, figurazioni ieratiche inconsuete e soggetti naturalistici di sapore classico, dividono lo spazio con i ricordi dei suoi affetti più cari: il marito e i suoi cani.
In un ritratto al piano superiore, la donna è raffigurata in tutta la sua bellezza acqua e sapone. Una Greta Garbo dai lineamenti morbidi, che ha saputo dire di no al patinato mondo dello spettacolo, per rifugiarsi nella tranquillità della natura e dei suoi affetti.
Una scelta coraggiosa e forse anche incomprensibile, ma sicuramente coerente con la personalità anticonformista dell’artista, insofferente a regole ed imposizioni.