Adagiato lungo il pendio di uno strapiombo, immerso in una selvaggia vegetazione, questo enorme gigante dormiente veglia silenziosamente la città di Narni.
Molti narnesi ricordano ancora affettuosamente l’ex Istituto Federico Di Donato che, nell’ultima fase della sua vita, fu un convitto per bambini gestito dalle suore. Ma la sua origine si perde diversi secoli prima. Qui nel 1600 alcuni i frati Serviti istituirono un convento su un preesistente tempio del XIV secolo. La storia del convento e della chiesa delle Grazie prosegue fino al 1860, quando con il decreto Pepoli vengono chiusi e ceduti allo stato conventi e monasteri, poi venduti a Privati.
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Nel corso di questo secolo la struttura fu restaurata e usata da alcune ricche famiglie romane che adibirono lo stabile a stazione climatica (come è scritto sulla lastra all’ingresso del portone principale) e luogo di riposo, ma soltanto tra le due Guerre Mondiali il complesso ospitò un collegio per bambini in condizioni disagiate grazie all’opera di Madre Flaviana. Centinaia di bambini frequentarono quest’istituto fino al 1974, anno in cui venne chiuso e abbandonato al proprio destino. Alcuni locali fra cui la chiesa, sono state adibiti a scuola professionale a fine anni 1980-90.
Dal momento che le normative Ipab all’epoca stabilivano che gli enti assistenziali rimasti invenduti venissero ereditati dal comune di cui era originario il gestore, l’ex convento Le Grazie passò in mano al comune di Roma, città natale di Madre Flaviana.
Da allora giace in uno stato di abbandono totale, fino a perdere pezzi. Sempre più grossi, tanto da mettere a rischio la pubblica incolumità con il crollo di materiale dalle pareti perimetrali proprio sull’adiacente carreggiata della Flaminia. Le ordinanze per la messa in sicurezza ed i tentativi di recupero si sono tradotte in un nulla di fatto.
Alle sue condizioni attuali potrebbe tranquillamente ospitare il set di un film horror. L’immensa struttura, articolata in 5 piani, è immersa in un silenzio irreale, che amplifica ulteriormente la sensazione di vuoto data dai corridoi infiniti e dagli spogli spazi labirintici. Perdersi è un gioco da ragazzi. Oltre a cercare di mantenere l’orientamento bisogna prestare attenzione ad ogni passo: il costante rischio crolli e i cumuli di detriti, con l’aggravante del buio, rendono l’esplorazione un sfida. Muri diroccati, vetri in frantumi e infissi pericolanti sono una costante.
Il portone socchiuso all’ingresso, circondato dai ponteggi dell’ultimo tentativo di ristrutturazione, lascia intravedere quel che resta della vecchia chiesa. La luce ultraterrena che filtra dall’oculo, illumina una vecchia carrozzina vintage che fa compagnia ad una Fiat Tipo risalente al periodo in cui il convento era scambiato per un’autocarrozzeria, a giudicare dai tanti ricambi sparsi per i piani. Sottile l’ironia di chi ha posizionato la testa di un maiale (in cartapesta) al centro di quello che resta dell’altare. Al di sopra, una lunetta con l’unico affresco della chiesa, ormai quasi del tutto sbiadito.
La destinazione d’uso di alcune stanze è ancora intuibile nonostante i quasi 50 anni di abbandono e vandalismi. Dalle foto d’epoca sappiamo che quest’enorme complesso comprendeva delle cucine, un’infermeria, la foresteria, una sartoria, diversi dormitori, aule didattiche ed un enorme parco dove ancora oggi si trovano i resti dei pollai e delle cucce degli animali. Ma l’area più entusiasmante è il grande terrazzo panoramico dove i ragazzi si riunivano per svolgere attività fisica. Qui, la vista spazia sul borgo di Narni dominato dall’imponente rocca di Albornoz, in un acquarello di colori che spezza la monotonia cromatica del vecchio istituto.
L’imponente volumetria della struttura e le sue condizioni precarie non facilitano certo la ricerca di un acquirente. Gli investimenti per un potenziale recupero sono così ingenti da tenere alla larga qualsiasi imprenditore. L’ennesimo (e brutto) esempio, di come la burocrazia impedisca di far fiorire le bellezze di una città.
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