È spoglia, senza tetto e non ha più nulla delle passate vestigia barocche. Eppure, anche se ridotta a un rudere, la chiesa di San Vittorino è uno dei luoghi di culto più affascinanti e misteriosi d’Italia.
Questa particolarissima chiesa, sprofondata nel sottosuolo per circa 2 metri, fu persino scelta come set dal regista russo Andrej Tarkovski per il suo Nostalghia (1983). Qui, il protagonista si avventurava in solitaria dopo aver percorso controcorrente il fiume che scorre attraverso il portale.
Non si tratta però di finzione scenografica: l’interno di San Vittorino è infatti allagato da una sorgente sotterranea che sgorga dalle fondamenta, con l’acqua che defluisce per mezzo del portale d’ingresso riversandosi nella campagna circostante. Merito (o colpa) delle tante sorgenti mineralizzate presenti nel sottosuolo, che danno vita a fenomeni carsici come i sinkhole, ovvero sprofondamenti improvvisi del terreno.
La stessa abbondanza d’acqua che ha poi condannato San Vittorino, ha portato a lungo i Romani a ritenere questa zona un’area sacra, tanto da realizzarvi un tempio dedicato alle ninfe dell’acqua nello stesso punto in cui oggi sorge la chiesa.
Sui resti dell’antico tempio pagano venne fondata la chiesa di San Vittorino tra il Trecento e il Quattrocento. Pare che qui esistesse, sin dal IV secolo, una piccola cripta dedicata al santo di Amiterno, che in questo luogo subì il martirio nel 96 d.C. Per un certo periodo la cripta ospitò le spoglie del santo, fin quando il suo corpo non venne trafugato e trasportato nella chiesa di San Michele Arcangelo, nella sua città natale.
La piccola cripta lasciò il posto ad una chiesa vera e propria solo diversi secoli più tardi, anche se la sistemazione attuale si deve ai lavori di ampliamento completati nel 1613 su volere del vescovo di Cittaducale, Pietro Paolo Quintavalle. Per molto tempo fu la chiesa più importante della diocesi, finché nell’Ottocento non iniziò ad allagarsi a causa della superficialità della falda nel terreno dove la chiesa era stata fondata. Forse anche l’imponenza classica del nuovo edificio contribuì al fenomeno di progressiva sommersione, poi aggravato dal terremoto del 1703.
Negli anni Ottanta, in seguito al crollo del tetto, la provincia di Rieti eseguì dei lavori urgenti per rallentare l’inabissamento ed evitare ulteriori crolli. All’intervento doveva seguire il recupero completo dell’edificio, che tuttavia non venne mai eseguito. Ad oggi, l’ingresso è a malapena visibile, inabissato per metà della sua altezza e coperto dalla vegetazione dei campi circostanti. La chiesa è tuttora abbandonata e continua lentamente a sprofondare.