Una Madonna laica, dalle fattezze moderne e dotata di una sensualità terrena, fa capolino nell’abside di questa piccola chiesetta diroccata.
In lontananza può sembrare il classico casolare in rovina tipico di un paesaggio rurale eppure, tra l’immondizia, i roghi improvvisati e l’incuria generale, si apre Santa Maria ad Magos, il primitivo Santuario del Divino Amore.
Eretta nel 1745 a breve distanza dal santuario odierno, fu proprio questa piccola chiesetta nei sobborghi della Falcognana ad ospitare, per un breve periodo, l’immagine miracolosa della Madonna del Divino Amore. Lo stato in cui versa attualmente non rende giustizia al posto che ha avuto nella storia. Nel Quattrocento era al centro di un’enorme tenuta che comprendeva casolari e cascine di proprietà di diverse famiglie nobili romane. Un piccolo fortino agricolo, dove la vita era scandita dai ritmi naturali, gli stessi che delineano, con pennellate smeraldo e zafferano, la pittoresca campagna circostante. La posizione appartata e la scarsità di informazioni la tengono al riparo dalle attenzioni dei curiosi: non è un caso se risulta sconosciuta anche a molti romani. Del resto, non c’è nemmeno nulla da trafugare e vandalizzare: Santa Maria ad Magos può far gola solo a qualche appassionato di storia. Un piccolo sentiero sterrato, circondato dall’incolto, conduce direttamente davanti alla facciata. Scarna, squadrata, con una sola porta fiancheggiata da un paio di finestre ovali. Santa Maria ad Magos non ha l’opulenza delle altre colleghe della capitale. L’edera la avvolge in un eterno abbraccio, ravvivandola con vivaci tocchi di colore. Dell’impianto decorativo originario non resta nulla, e la destinazione d’origine è intuibile soltanto dall’altare addossato alla parete di fondo, al cui fianco si apriva il tabernacolo. Negli ultimi anni, la chiesa di Santa Maria ad Magos ha ripreso vita tramite i colori e le allegorie della street art. Lo splendido murales sovrastante l’altare è opera di 0707, un artista italiano noto a molti urbex, la mano che sta dietro a molte delle opere del manicomio della Marcigliana e delle cartiere di Tivoli. Nelle sei nicchie laterali trovano posto sei vizi capitali. Avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia. Una reinterpretazione moderna di un classico dell’iconografia cristiana, rivisitato da Other e Saviols. Grande assente la superbia, incarnata dalla chiesa stessa. La superbia dell’uomo, legato soltanto al proprio Ego e sprezzante della sua stessa storia.