Un delirio cubista nel bel mezzo di un bosco. Sfere, scale e forme dissonanti per una casa che ricorda più una navicella spaziale atterrata sulla terra e rimasta lì ad arrugginire, tra l’incuria e i rampicanti.
Una struttura già all’epoca della realizzazione fuori dai canoni architettonici e che ancora oggi sembra provenire da un altro pianeta, specie nel contesto di una provincia romana inquadrata in regolari villette e placidi condomini.
Fino al 1995 è stata il simbolo della ribellione neorealista di Giuseppe Perugini, che la volle come propria dimora negli anni ’60. All’epoca della costruzione la sperimentazione aveva assunto forme e dimensioni futuristiche.
Sulla spinta del rinnovamento della società ormai stantia dei decenni precedenti attraverso l’architettura che diventa sia esercizio di stile, con la valorizzazione dell’arte figurativa insita nel progetto, sia riflessione del concetto stesso di abitare uno spazio, questa casa divenne l’emblema dell’ambiente architettonico romano dell’epoca.
Dalla morte dell’architetto l’abitazione futurista è stata abbandonata al suo destino. Un destino fatto di degrado, incuria e vandalismo, tanto che gli interni sono ormai completamente spogli e tappezzati di graffiti.
L’enorme cancellata rossa accostata spiana la strada al nostro accesso.
Ad una prima occhiata l’edificio sembra quasi sospeso tra gli alberi che lo circondano, aspetto che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “casa sull’albero”.
Fotografarlo non è semplice poiché presenta una complessità spaziale non facile da inquadrare per chi è non avvezzo agli studi architettonici. A primo impatto può infatti sembrare un’accozzaglia caotica di forme, ma ogni elemento risponde a precise regole.
Pochi materiali vennero utilizzati per la costruzione di villa Perugini: cemento armato, vetro e acciaio sui quali risaltano gli infissi in vernice rossa che riprendono lo stile del recinto esterno.
Un susseguirsi di cubi, scale, travi e pilastri le cui linee squadrate sono interrotte soltanto dagli ambienti sferici dove trovano posto i servizi igienici. I vari “gusci” in calcestruzzo, che racchiudono ambienti della casa disposti casualmente, si trovano ad altezze diverse e prevedono vari gradini per superare i dislivelli.
La scala d’accesso, con la sua vernice rosso brillante, più che una scala ricorda la rampa di uno scivolo. La particolarità non sta soltanto nel colore ma anche nel fatto che sia concepita come passerella mobile che si può anche alzare, isolando completamente gli abitanti dal mondo esterno. Utilissima in caso di assedio da parte dei nemici confinanti.
La composizione interna di villa Perugini reitera il motivo del cubo, ma anche il colore rosso è una costante che ritroviamo in tutti gli elementi in ferro. Dal salone open-space a doppia altezza si accede agli altri ambienti della casa, tra i quali spiccano i due bagni sferici con porta girevole che non sfigurerebbero in Arancia Meccanica.
Purtroppo non è possibile accedere al tetto poiché la porta che permette di salire sulla scala a chiocciola è chiusa a chiave, ma il nostro tour prosegue negli ambienti esterni. Ed è propria al di sotto dell’abitazione, tra i pilastri che la sorreggono, che il suo ideatore aveva allestito una piscina.
E quando pensiamo di non poter vedere nulla di più bizzarro, c’è la sala della meditazione a smentirci crudelmente. Concepita come un’enorme sfera in cemento dall’apertura circolare, è tagliata lungo tutto il suo diametro da una sottile finestra ed è impreziosita dal graffito di un demone che non concilia propriamente con l’introspezione.
Utilizzata in un paio di occasioni per delle mostre temporanee, nonostante le varie proposte di recupero che intendevano valorizzarla come polo museale, ad oggi villa Perugini resta meta di fotografi e curiosi.