In un susseguirsi di stagni, torrenti e campi coltivati, l’armonia della natura nella Valnestore è interrotta soltanto dagli imponenti impianti termoelettrici dell’Enel, di cui uno ancora in funzione.
Le torri di raffreddamento sorgono quasi a ridosso del lago di Pietrafitta, un bacino che deve la sua nascita alla depressione creatasi nei quaranta anni di attività estrattiva che hanno fatto la fortuna della zona. Il territorio è infatti ricchissimo di lignite, motivo che ha portato alla realizzazione, nel 1958, di una centrale termoelettrica a bocca di miniera, in funzione fino al 2001, anno dell’esaurimento del giacimento lignitifero.
L’obiettivo del giorno è proprio l’ex centrale, un grigio scheletro di cemento che però ci riserva più di una sorpresa. A cominciare dal pezzo forte di tutto il complesso, la sala comandi, che risplende in un verde irreale. Gli orologi scandiscono le 7.35 di chissà quale anno; i tasti e le manovelle dei pannelli non hanno più funzioni; gli indicatori di potenza e tensione sono tutti fermi sullo zero. Il silenzio è interrotto soltanto dai trattori dei contadini che lavorano nei campi circostanti.
Uno splendido esempio di archeologia industriale dove, con un po’ di attenzione, è possibile individuare qualche traccia del passato: dai cartellini degli operai alle mascherine di sicurezza, dagli schemi elettrici degli impianti alla foto di gruppo del personale risalente agli anni ’70. Fotograficamente allettante è il blocco con le enormi ventole per il ricircolo dell’aria, sopra le quali si può salire per godere di uno scenario post-industriale senza pari.
Da anni si parla di una sua riconversione, mai concretizzata. Nel 2012 era stata avanzata anche l’ipotesi di dar vita ad una piccola Silicon Valley umbra, per fare del “cuore verde” d’Italia un’avanguardia della green economy.
Ad oggi, l’unica cosa certa è che le ceneri e le scorie dell’ex centrale continuano ad avere spazio nelle cronache per l’incidenza delle patologie oncologiche correlate a fattori di inquinamento ambientale.