C’è chi abbandona la casa per dei motivi che lei capisce, e c’è chi l’abbandona perché è costretto. E la casa capisce anche questo. E resta lì vuota, con un’aria triste. Le case abbandonate spalancano le porte, aprono gli scuri e le finestre, fanno entrare l’aria, le nuvole e le erbe rampicanti.
Prive ormai anche di fondamenta, sospese in precario equilibrio, a poco a poco sprofondano portando con sé la memoria di chi un tempo le animava. Eppure nessuno avrebbe voluto lasciare questo splendido borgo montano, se non fosse per il disastroso terremoto che l’ha raso al suolo in una notte di primavera.
Gli uomini non ci sono più. Chi è riuscito a salvarsi non ha potuto far ritorno al suo paese. Tuttavia sembra si tratti di un’assenza recente: lo si vede dal tavolo che è ancora apparecchiato, dagli armadi aperti e dai comodini con le foto, ma anche dai piatti e dalle posate accatastati negli scatoloni in un disperato tentativo di portare in salvo almeno l’essenziale. Lo si capisce dai letti, con i vestiti appoggiati alla testiera, e dai giocattoli dei bambini, sparsi nei saloni in attesa di poter strappare ancora qualche sorriso.
Restano le cose a parlare per i loro abitanti: i quadri di famiglia, le lettere, le bambole, i libri ancora disposti in ordine sugli scaffali. In una casa, sul tavolo della sala, c’erano ancora le carte da gioco di una serata trascorsa in spensierata compagnia. Cose che hanno molto da raccontare a chi ha l’orecchio allenato per cogliere le loro storie.
Eppure, anche di fronte alla peggiore delle calamità naturali, l’uomo non si perde d’animo. “Noi tireremo diritto” è il motto che campeggia su uno dei primi palazzi recuperati, in un lento tentativo di ricostruzione che potrebbe dare nuova voce a quelle case.