“Ho trovato una città di mattoni, ve la restituisco di marmo”.
Con queste parole, l’imperatore Augusto decantò il rifacimento urbanistico di Roma imperiale, immortalando il suo operato politico nella pietra dei monumenti. La città eterna, destinata a tramandare una storia millenaria, meritava di essere plasmata con un materiale immortale. Solido, pregiato e durevole, il marmo si prestava a questo scopo.
Alle porte della capitale, in un’area tutt’oggi rinomata per la sua attività estrattiva, imperatori, architetti e artisti venivano a rifornirsi del travertino necessario per i loro progetti. Da queste cave proviene il travertino romano utilizzato per realizzare alcuni monumenti simbolo della capitale: la Barcaccia e la scalinata di Trinità dei Monti in Piazza di Spagna, la fontana dei Quattro Fiumi in piazza Navona e fontana di Trevi. Alcune fonti riportano che lo stesso Bernini soggiornò in questa zona per scegliere personalmente il marmo destinato alle sue opere più famose, tra cui il colonnato di San Pietro.
Molti impianti estrattivi sono ancora attivi, mentre altri sono andati incontro ad alterne vicende che ne hanno decretato la chiusura. È il caso di questa cava di travertino, fondata nel 1969 e attiva fino a pochi anni fa, quando ne fu decretato il fallimento.
Nel deposito, ormai spoglio, i blocchetti di marmo sono ancora accatastati ordinatamente sulle pedane in attesa di essere consegnati. I campionari fanno sfoggio negli uffici dell’azienda, tappezzando come un mosaico dalle venature multicolore le pareti monocrome.
Nulla di paragonabile alle sfumature algide dell’ex impianto estrattivo, oggi dominato da un bacino artificiale circondato da alte pareti di travertino. Qui, le dolci tonalità alabastrine del marmo creano dei riflessi surreali sullo specchio d’acqua, interrotti soltanto dai ciuffi dorati dell’erba secca.
Uno scenario quasi lunare, in cui la natura sta tornando ad imporre la propria voce, estendendo il controllo a quello che l’uomo non è stato in grado di tutelare.