In un quartiere di Roma in cui grandi opere ingegneristiche ne stanno plasmando l’immagine in chiave moderna, il Flaminio resta lì a far da contrappeso, grigio e dismesso, proprio tra l’Auditorium di Renzo Piano e il Maxxi di Zaha Hadid.
Eppure, lo stadio di Pier Luigi e Antonio Nervi, un tempo era un gioiellino di architettura moderna. Baluardo della tifoseria laziale, tempio della musica tra gli anni ’80 e ’90 e fino al 2011 casa del rugby, oggi, il secondo stadio della capitale, con il suo mezzo secolo di storia, sembra essere invecchiato peggio del Colosseo. Qui si svolsero i memorabili derby del 1990, quando l’Olimpico era inagibile a causa dei lavori di ristrutturazione in vista dei mondiali, i prestigiosi Sei Nazioni di rugby, e sul campo da gioco si sono esibite star di calibro internazionale: Sting, Madonna, Genesis, Duran Duran, U2, Prince, David Bowie, Michael Jackson, Rolling Stones e Bruce Springsteen tra i tanti.
I guai cominciarono nel 2012 quando venne ritenuto inadatto, per la capienza ridotta (nemmeno 30.000 persone) ed i limiti strutturali, ad ospitare match internazionali. La gestione passò così nelle mani di Federcalcio che tentò di studiare dei progetti di recupero in accordo col comune ipotizzando dapprima un centro di allenamento, poi un museo e infine un impianto interno delle Nazionali di calcio giovanili. Nulla si concretizzò, sia per gli enormi costi di ristrutturazione e gestione, sia per il mancato accordo con la famiglia Nervi, proprietaria intellettuale dello Stadio, che più volte ha espresso pareri contrari ai piani di ristrutturazione presentati dal comune, specie quelli riguardanti un suo ampliamento.
Il perimetro dello stadio, immerso nell’immondizia e nell’incuria, è ormai ridotto a parcheggio per senzatetto e vagabondi, alcuni dei quali hanno pensato bene di sistemarsi nei locali interni. La ruggine sta logorando le strutture ormai fatiscenti mentre l’erba ed il vellutino sulle gradinate hanno preso il posto dei sedili divelti. Le palestre al piano terra sono irriconoscibili se non dai fragili cartelli affissi alle porte. I sotterranei celano nell’ombra trofei e scarpe sportive ammassati tra resti di bivacchi e cavi svuotati del rame. I sempre presenti vandali hanno fatto il resto, tra transenne gettate dagli spalti e vetri infranti con sedie e faretti.
L’area di gioco può competere con il parco botanico di Trastevere; nulla resta del curato manto erboso teatro di celebri incontri. Risaliamo gli spalti fino alle postazioni depredate della tribuna stampa. Passare in questa tifoseria silenziosa, tra vecchi striscioni e palloni bucati, fa un certo effetto.
Addentrandoci internamente, nei locali degli uffici molta è ancora la documentazione sopravvissuta, tra liste presenze, accrediti di partite e calendari di vecchi campionati.
E’ di pochi giorni fa la notizia secondo cui potrebbe tornare entro fine anno sotto la tutela della Federazione italiana rugby, grazie ad alcuni finanziamenti provenienti da istituzioni sportive e non. Ipotesi che se confermata gli scongiurerebbe la fine della città dello sport o peggio ancora del velodromo.