Salci non è solo un borgo abbandonato, ma un luogo che ancora oggi racconta la sua storia a chi sa ascoltarlo. Situato su una solitaria collina tra Umbria, Toscana e Lazio, a pochi chilometri da Città della Pieve, questo antico borgo fortificato porta con sé il fascino di un passato glorioso e la malinconia di un presente sospeso nel tempo.
Un tempo cuore pulsante di commerci e incontri, il borgo di Salci sorse nel XIV secolo per volontà della famiglia Bandini e divenne, nel 1568, un vero e proprio ducato su investitura di Papa Pio V. Con le sue mura possenti e le due corti interne, il borgo godeva di privilegi feudali unici: una guarnigione militare indipendente, il diritto di imporre tributi e pedaggi, di autorizzare mercati e perfino di battere moneta propria. La sua posizione strategica, al crocevia tra Orvieto, Siena e Chiusi, lo rese punto di passaggio per mercanti e pellegrini diretti a Roma lungo la Via Francigena, ma anche rifugio per contrabbandieri e ricercati, che qui trovavano una momentanea salvezza.
Il tempo, però, non è stato clemente con Salci. Dopo secoli di splendore, la sua popolazione iniziò a ridursi nella seconda metà del Novecento. Gli ultimi residenti ricordano con commozione, ancora oggi, una quotidianità scandita da ritmi lenti e semplici piaceri. “Io abitavo in piazza Crescenzi, appena dentro dall’arco sulla destra“, racconta Simonetta Grillo, ricordando con nostalgia il tessuto vivo di un paese che ora esiste solo nei ricordi. La stessa piazza che vide i natali di Achille Piazzai, commemorato dalla targa in marmo come “costruttore delle più veloci navi del mondo della prima metà del sec XX“. Ingegnere navale, per l’Ansaldo progettò diversi transatlantici, fra cui il celebre Rex, orgoglio della Marina italiana del tempo, ricordato anche da Fellini in Amarcord.
Simonetta Grillo, che ha vissuto a Salci fino al 1973, ricorda: “Non avevamo molto, ma con poco ci divertivamo. Le donne lavoravano a maglia, i bambini giocavano sotto l’ombra degli alberi e le serate si trascorrevano raccontando storie sul ‘trave’, scambiandosi confidenze e sorrisi“.
Salci era un borgo autosufficiente, un piccolo universo dove ogni famiglia aveva il suo ruolo e ogni bottega era il cuore pulsante della comunità. C’era il falegname, il fabbro, il negozio di alimentari, la macelleria, la posta, lo studio medico e l’osteria, gestiti dalle stesse famiglie che l’abitavano, oltre ad una grande tenuta che dava lavoro a tantissimi contadini. Luoghi non solo di commercio ma di incontro, di scambio, di appartenenza.
Fino alla metà degli anni Sessanta, Salci era ancora una vivace cittadina autosufficiente, animata da circa 300 persone. Ma gli anni Settanta portarono con sé il declino. Lentamente, le famiglie iniziarono a lasciare il borgo, attirate da nuove opportunità o costrette da circostanze più grandi di loro. “Ha iniziato a spopolarsi tra il 1970 e il 1971, e poi tanti furono costretti ad andarsene dal nuovo proprietario“, racconta Simonetta.
Nel 1998, con la morte dell’ultimo residente, l’anziano parroco don Pietro Calzoni, Salci restò definitivamente senza abitanti. Il borgo che aveva visto passare pellegrini, mercanti e persino Giuseppe Garibaldi in fuga dopo la caduta della Repubblica Romana, si ritrovò solo, testimone silenzioso di un passato glorioso.
Oggi, attraversando la polverosa strada che porta al borgo, si viene accolti dalla maestosa Porta d’Orvieto, una torre quadrata merlata che ancora conserva lo stemma dei Bonelli, ultimi signori di Salci. Al suo interno, il tempo sembra essersi fermato: le case in pietra raccontano di un’epoca passata, le finestre sbarrate nascondono storie di vite lontane, la chiesa di San Leonardo di Noblac, pur inaccessibile, resta un simbolo della fede che qui ha accompagnato intere generazioni. Da qui partiva un passaggio sopraelevato, la Loggia degli Spiriti, un corridoio coperto che collegava il palazzo ducale direttamente alla chiesa.
Eppure, nonostante l’abbandono, il borgo di Salci non è stato dimenticato. Negli anni, molte sono state le voci che si sono levate in sua difesa. Tra queste, quella del comitato “Salviamo Salci”, nato per ridare vita a questo luogo incantato, e quella di Carlo Verdone, che nel 2012 lo segnalò al FAI per il progetto “I Luoghi del Cuore”. Ma le speranze di recupero restano sospese, proprio come il destino del borgo stesso.