Tra le pieghe silenziose dei monti Trebulani, dove la natura rivendica lentamente i suoi diritti sulla memoria umana, giace un piccolo universo sospeso nel tempo. Rocciano, frazione dimenticata del comune di Giano Vetusto in provincia di Caserta, è molto più di un semplice borgo abbandonato: è un frammento di vita cristallizzato, un libro aperto scritto in una lingua che solo il vento sa ancora leggere.
Sul versante settentrionale dei monti Trebulani, dove i sentieri di trekking si snodano tra creste e vallate, esiste un luogo che sembra essere scivolato fuori dalle pagine della storia ufficiale. Rocciano è avvolto da un oblio così profondo che persino determinare quando sia avvenuto il suo spopolamento diventa un’impresa archeologica.
Abbandonato da diversi decenni, questo piccolo nucleo rurale rappresenta uno di quei luoghi che l’Italia nasconde nelle sue pieghe più remote, testimonianza di un’epoca in cui l’esodo dalle campagne verso le città ha lasciato dietro di sé intere comunità come relitti di un naufragio sociale.
Ciò che colpisce il visitatore che si avventura tra le case di pietra parzialmente diroccate non è tanto la rovina quanto tutto ciò che la circonda. La vegetazione non ha semplicemente invaso gli spazi: li ha trasformati in scenografie naturali dove ogni elemento sembra disposto con una precisione quasi artistica.
Le abitazioni, alcune ormai scheletri di muri perimetrali, altre ancora riconoscibili nella loro struttura originaria, raccontano storie diverse di resistenza al tempo. È come se ogni casa avesse scelto il proprio modo di arrendersi all’eternità: alcune hanno ceduto i tetti al cielo, altre hanno aperto le loro braccia alla vegetazione rampicante che ora le avvolge in un abbraccio verde e possessivo.
Ma è in una casa, parzialmente intatta rispetto alle altre, che Rocciano rivela la sua natura più enigmatica. Una stanza dalle particolari tonalità di blu – l’unica decentemente conservata di tutto il borgo – si presenta come un sancta sanctorum della memoria sospesa. Le pareti color cielo conservano ancora tracce della vita che fu, e l’insieme degli oggetti qui disposti crea un’atmosfera che oscilla tra il sacro e il surreale.
Un grosso baule custodisce segreti che nessuno potrà mai svelare. Le immagini votive appese alle pareti sembrano vegliare su questo teatro dell’abbandono con occhi che hanno visto troppe partenze e nessun ritorno.
Ogni dettaglio – dal cartello che ancora indica la presenza del “pozzo” alle cartoline sbiadite che qualcuno ha lasciato come messaggi in bottiglia per il futuro – sembra in attesa di qualcuno che si prenda la briga di ascoltare le loro storie silenziose.