“La casa della villeggiatura stendevasi su una spianata magnifica, in cospetto alle più belle colline olivate e aveva un piazzale svegliato da un antichissimo cipresso, circondato da pergolati e sormontato da un imminente collinetta a vigna e a frutteto.”
Così un seminarista descrive il suo ritiro estivo a Villa T., seminario abbandonato che per quasi un secolo ha rappresentato momenti di sereno riposo e di gioia comunitaria. Qui, ragazzi da ogni parte della regione, si ritrovavano da metà luglio fino al mese di ottobre per esaudire la loro vocazione sacerdotale.
Questo grande complesso venne realizzato nel 1844 come convento intitolato al patrono del paese, su iniziativa del vescovo della diocesi, che volle farne dono ai padri cappuccini. La parentesi felice durò però ben poco. Sono gli anni dei tumulti risorgimentali e, nel 1861, l’esercito piemontese che occupa il centro Italia espelle i religiosi dal loro convento, senza alcuna speranza di un possibile ritorno.
in questo stato di cose, che durò circa 25 anni, accadde che il seminario Vaticano aveva necessità di individuare un luogo stabile per la residenza estiva, interessandosi proprio a quella proprietà. Il convento era stato intanto saccheggiato e spogliato di ogni bene: dopo 25 anni di totale abbandono era talmente deteriorato da non sembrare nemmeno possibile una ristrutturazione.
Fu soltanto con l’acquisizione da parte di Papa Leone XIII che il seminario poté rifiorire, anche mediante ampliamenti strutturali. Furono infatti eseguiti restauri, rifatti i tetti, aggiunto un piano per ospitare gli spaziosi dormitori e le sale studio e fu arredato con nuovi mobili e arredamenti. Gli spazi che un tempo appartenevano al convento vero e proprio accolsero gli alloggi del personale di servizio e e l’infermeria, mentre la cappella divenne la chiesa del seminario e fu abbellita a spese del Papa. Un rifacimento in grande stile tutt’oggi testimoniato dalla lapide memoriale affissa sopra il portone di ingresso.
Il centro di formazione cristiana venne istituito ufficialmente con la riforma del 1913, incorporando tutte le tradizioni che furono del seminario Vaticano. Questa villa rappresentava il momento del necessario riposo dalle fatiche della vita invernale del seminario, che era scandita da precisi orari e impegni scolastici.
C’erano però due attività che allietavano la villeggiatura: le passeggiate e il teatro. La passeggiata mattutina durava generalmente fino alle 11 e permetteva ai ragazzi di visitare i borghi limitrofi e i più vicini santuari. Il teatro era il momento in cui alcuni fra i seminaristi più dotati di talento si impegnano a rappresentare scenette comiche e macchiette impareggiabili. Ma, in questi luoghi benedetti, i seminaristi svolgevano anche gli esercizi spirituali e, quando il seminario sarà nuovamente trasferito, resteranno impegnati nella catechesi per gli abitanti della zona.
Nei decenni successivi la villa non ha mai cessato la sua funzione, anche se col tempo si ridussero le occasioni della venuta dei seminaristi. Infatti, con il diminuire del numero delle vocazioni, il seminario si aprì anche ai campi scuola, all’animazione e alla catechesi per diversi gruppi vocazionali di adolescenti.
A partire dagli anni 90 il seminario iniziò ad essere sempre meno frequentato, sia dei seminaristi che dal clero stesso, per i quali furono individuate altre località per ospitare i gruppi estivi.
Ormai vuoto da diversi anni, il seminario abbandonato non ha perso la sua atmosfera di rifugio contemplativo. Si capisce perché i ragazzi adorassero giocare all’aperto: all’ombra del bosco di acacie i suoni della natura isolano completamente dal resto del mondo.
All’interno molte cose, ancora al loro posto, ci permettono di ripercorrere i momenti di vita quotidiana dei seminaristi: il biliardino, i libri di studio, le fotografie rimaste nei cassetti. Ma un particolare stona con tutto il resto. Un particolare nascosto nel sottoscala. È qui che la storia del seminario abbandonato si ricollega alle vicende del piccolo elefantino Pepè.
Pepè, giunto in città con gli altri animali del circo Togni, si trovava nel recinto quando ingerì inavvertitamente del fil di ferro nascosto nella paglia. Inutili furono i soccorsi prestati al piccolo elefantino, che morì in breve tempo. In molti piansero Pepè e non soltanto per la perdita in termini economici e di spettacolo. Volendogli dare degna sepoltura, venne trasportato con un grosso rimorchio in quella che allora era una zona periferica della città. Sotto gli occhi curiosi dei presenti, l’elefantino venne disposto in un grossa buca.
Sulle sorti delle spoglie del piccolo Pepè ci si è interrogati a lungo. Anni dopo, con l’intenzione di ricomporre lo scheletro in accordo con l’Istituto Zooprofilattico, si decise di disseppellirne i resti, ma del piccolo Pepè non c’era traccia. Quel che resta del suo scheletro è riapparso nel sottoscala dell’ex seminario, a 30 km di distanza dal luogo della sepoltura. Forse è stato accantonato qui, insieme al corpo di un cervo impagliato, in attesa di essere esposto in un luogo consono.
Peccato che a Pepè sia capitata la stessa sorte del luogo che adesso lo ospita e che può finalmente dargli la pace che merita.